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Sharia e ordinamento civile in Italia
 

Questo mese il Sottovoce vi risulterà probabilmente anomalo. Più che riflettere su qualche aspetto dell’esistenza, ho scelto di informare su un modo di fare ancora poco conosciuto e in totale conflitto con i principi del nostro ordinamento sociale. Mi riferisco a quei comportamenti in vigore tra molti immigrati che provengono dai Paesi arabi riguardo alla prassi matrimoniale. Come si vedrà, con abili accorgimenti, c’è chi riesce a rendere legale nei fatti ciò che per il nostro impianto giuridico è reato. Il crescente ingresso di persone provenienti dalle nazioni di cultura e tradizione islamica, poi, rischia di aggravare ancora di più questa contrapposizione: da una parte il nostro diritto che ritroviamo codificato non soltanto in Italia o in Europa, ma anche nelle molte democrazie presenti nel mondo, dall’altra le consuetudini che si ispirano alla sharia della legge islamica che difendono concezioni del rapporto tra marito e moglie, dei diritti della donna e dell’educazione dei figli in forte contrasto con i pronunciamenti della nostra Costituzione. Perché ne parliamo? Non certo per fomentare polemiche di carattere religioso o per suscitare divisioni, ma soltanto per sensibilizzare a comprendere un fenomeno presente nel nostro contesto che va con decisione respinto. Infatti, mentre la nostra carta costituzionale proclama e difende il principio dell’uguaglianza fra i sessi, tra gli islamici continuano ad essere praticate consuetudini che propugnano la supremazia dell’uomo sulla donna e la conseguente limitazione dei diritti di quest’ultima. Ecco un elenco di alcuni di questi comportamenti discriminatori e quindi inaccettabili:
1) Una donna musulmana che vuole contrarre matrimonio civile con un cittadino italiano deve esibire il certificato di conversione del fidanzato alla religione islamica, diversamente sarà oggetto di pressioni, minacce e violenze da parte dei suoi stessi familiari e il riconoscimento del matrimonio, in una nazione islamica, resterà condizionato alla conversione all’islam del marito. Così avviene nelle nazioni che assicurano il flusso maggiore di immigrati in Italia (Marocco, Egitto, Tunisia e Algeria). Mi chiedo: “Una simile imposizione non viola forse la libertà della persona, dal momento che costringe un individuo ad abbracciare un credo religioso per vedersi riconosciuto il diritto a contrarre matrimonio con la persona amata?“.
2) Dunque, la donna musulmana non può sposare un non musulmano. Il divieto, però, non vale per i maschi che invece possono sposare una ebrea o una cristiana senza che alla donna sia fatto obbligo di convertirsi all’islam. La norma non va letta come riconoscimento della sua libertà di coscienza. Al contrario, essa è un’ulteriore dimostrazione, di inferiorità. Tutte le decisioni infatti competono al marito. A lui viene affidata la tutela dei figli, in caso di separazione o di divorzio, e nell’eventualità che la donna resti vedova, per legge, non potrà ereditare i beni del marito, appunto perché non musulmana.
3) Secondo stime attendibili, in Italia, ci sarebbero non meno di 15 mila islamici che vivono di fatto in stato di poligamia. Lo stratagemma è semplice. Il matrimonio, diciamo ufficiale, viene celebrato dinnanzi all’autorità civile italiana. Gli altri, ovviamente senza effetti civili, possono essere contratti o nel Paese di origine, oppure in moschea. Il problema appare talmente diffuso che l’Unione Europea, alcuni mesi fa, ha richiamato i Paesi membri a una maggiore vigilanza sul rispetto della monogamicità del matrimonio.
Dinnanzi a questi fenomeni sono d’obbligo un paio di domande: “Come è possibile che in Europa tante donne musulmane accettino di subire passivamente una normativa che nega la loro dignità e che perfino la cultura musulmana, lentamente, sta superando? Perché a un imam deve essere consentito di celebrare in moschea riti di matrimonio che sfuggono allo stato civile? Perché, quando si rilascia un permesso di soggiorno e si concede la cittadinanza italiana, non si indaga per verificare se il richiedente ha già contratto matrimonio nel paese di origine?
Nel caso di un matrimonio religioso, i problemi si moltiplicano. Le due culture, infatti, sono al riguardo profondamente diverse. C’è da augurarsi che simili contraddizioni vengano al più presto risolte, prima che abbiano a moltiplicarsi e ad ingarbugliarsi ancora di più.

 

Don Giovannino

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