Parrocchia Santa Barbara Villacidro
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Santa Giuseppina Bakhita
 

Sudan, Africa orientale 1876. Un territorio immenso, otto volte più grande dell’Italia. Un paese spaventosamente povero, preda di briganti, negrieri e trafficanti. La storia, drammatica e al tempo stesso meravigliosa di questa santa parte da qui. A sette anni viene rapita mentre gioca con altri bambini nel suo villaggio e portata al mercato degli schiavi. Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori, ma quello datole dai rapitori. Viene dapprima acquistata da un mercante musulmano e poi da un generale turco che la destina al servizio di sua madre e di sua moglie. Inizia per lei un periodo di atroci sofferenze. Le due donne la trattano senza umanità, la umiliano, la frustano e le procurano piaghe dolorosissime. Secondo una barbara usanza, si vide segnare il corpo con dei profondi tagli. In una sua autobiografia, racconta che con un rasoio le venne inciso il corpo e fatti dolorosissimi tatuaggi. Le restarono così per sempre centoquarantaquattro cicatrici. Per molto tempo dovette sopportare le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù finchè il generale la rimise in vendita. Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta, forse, per sempre. Al rientro del Console in Italia, Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui. Quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica. L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane di Venezia. Qui chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina sentiva in cuore senza sapere chi fosse. “Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: “Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di servirlo”. Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un'intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: “Qui sono diventata figlia di Dio!” Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia, Bakhita manifestò la volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, “el me Paron”. Per oltre cinquant'anni questa umile Figlia della Carità visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu cuoca, guardarobiera, ricamatrice e portinaia. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto. La sua umiltà e semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti. Le consorelle la stimavano per la dolcezza, la bontà e il profondo desiderio di far conoscere il Signore. “Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!”. Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma Madre Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: “Come vol el Paron”. Nell'agonia rivisse i terribili giorni della schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: “Mi allarghi le catene...pesano!”. Si spense l'8 febbraio 1947, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una immensa folla si riversò nell'Istituto per vedere un'ultima volta la “Santa Madre Moretta” e chiederne la protezione dal cielo. Il processo di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1° dicembre 1978 la Chiesa la proclamò santa.

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