Parrocchia Santa Barbara Villacidro
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Santa Barbara Villacidro
                   
               
 
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Museo diocesano di arte sacra
 

Il 27 giugno scorso si sono aperte le porte del nuovo Museo Diocesano di Ales. Un evento che  è stato salutato con interesse, tant’è che l’affluenza del pubblico continua ad essere sempre più crescente.
Il museo è stato allestito negli ultimi tre piani dell’ex Seminario Tridentino. Edificio costruito a più riprese tra il 1819 e il 1845, e divenuto dal 1948 al 1994 (anni in cui il seminario venne trasferito a Villacidro) sede delle scuole medie  e del ginnasio, e poi sede dell’Istituto Tecnico Industriale.
L’esposizione è costituita dalle preziose collezioni d’arte sacra custodite nel tesoro della Cattedrale e, in misura inferiore, da arredi provenienti dalle chiese del territorio diocesano. La parte più preziosa dal punto di vista artistico, storico e cronologico è in mostra al terzo piano. Le opere più antiche risalgono al XV secolo.
Tra i pezzi esposti, uno dei più apprezzati dal punto di vista storico-artistico, è il calice con patena. In stile gotico, ha una datazione risalente alla fine del secolo XV. In argento sbalzato e cesellato apparteneva al Capitolo della Cattedrale. Il calice risale al periodo di Mons. Giovanni Sanna, primo vescovo delle unite diocesi, che resse l’episcopato dal 1503 al 1521 e di cui parlano ampiamente anche Cecilia Tasca e Francesco Tuveri nel libro Don Andrea Sanna Bisbe de Alas y Terralba. Visita pastorale del 1524. Nello stesso piano troviamo anche un reliquiario a tempietto, in stile gotico e di bottega cagliaritana. Degna di altrettanta attenzione è anche la croce processionale in argento sbalzato, di bottega sarda e del XV secolo. Tra gli argenti primeggia il paliotto di Mons. Carcassona realizzato dall’argentiere cagliaritano Salvador Mamely nel 1754.
Tra le molteplici statue troviamo di grande valore artistico il Cristo morto in legno intagliato, policromato e dorato di bottega napoletana della prima metà del  XVII secolo appartenente alla cattedrale di Ales e la scultura lignea di San Sebastiano martire realizzata in legno intagliato, policromato e dorato di bottega napoletana con influssi iberici degli inizi del XVII secolo appartenente alla parrocchia di San Simeone di Zeppara.
Nella sezione delle parrocchie è presente la predella di un retablo smembrato e poi disperso. Apparteneva alla parrocchia di Santa Chiara di San Gavino Monreale dagli inizi del XVI secolo. L’opera raffigura le immagini di San Bartolomeo e San Giovanni evangelista ed è stata realizzata da un ignoto artista catalano.
L’elenco delle opere, degli arredi e dei paramenti sacri da menzionare sarebbe lunghissima ma tra i visitatori ha destato particolare stupore e attenzione l’immagine e la storia di un quadro: l’Inferno. La pittura, olio su tela, appartiene alla parrocchia della Beata Vergine Assunta di Sardara ed è stata attribuita a Sebastiano Scaleta, pittore cagliaritano della prima metà del XVIII secolo. Il quadro raffigura le anime sofferenti ed ognuna di loro riporta il simbolo delle 12 pene inflitte, con il nome in lingua spagnolo del vizio o peccato commesso. A sinistra, in basso della pittura è stata rinvenuta la seguente scritta: “Geronimo Massenti y su muger Barzola Ibba tomaron para aviso de este (espetrado) y tragedia del infierno ano 1742” (Geronimo Massenti e sua moglie Barzola Ibba donano alla comunità parrocchiale di Sardara il quadro raffigurante l’Inferno, come esempio e avvertimento della tragicità dell’evento 1742).
Il dipinto si trova documentato nella visita pastorale di Mons. Pilo, ampiamente studiata e trascritta nei due volumi di don Giovannino Pinna. Nella seconda risposta al questionario datato 30 ottobre 1762, dopo l’elenco delle statue, vengono citati due quadri: “Il quadro de las almas del purgatorio y el quadro de la rapresentacion del infierno”.
Dal libro Chronicus della parrocchia di Sardara si deduce che l’opera dell’Infierno fu restaurata da Francesco Sitzia (pittore sardo). Il quadro anticamente era conosciuto dai fedeli come “Sa catta de su inferru”. Geronimo Massenti e sua moglie morirono senza lasciare eredi diretti. Nel loro testamento donarono diversi beni alla chiesa e il fratello e i nipoti poi ne divennero diretti amministratori.

 

Manuela Garau

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