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Tirare la cinghia e nascondere le difficoltà
 

Da qualche mese, e con sempre maggiore insistenza, sentiamo ripetere che la crisi che ci attanagliava è stata bloccata e che già si intravedono i primi, timidi segnali di ripresa. Sarà e lo vogliamo sperare. Di fatto, però, la realtà che sperimentiamo nel quotidiano, ci spinge a credere il contrario. La crisi c’è e sul piano pratico sembra addirittura in crescita, condizionando sempre più negativamente la tenuta di moltissime famiglie. Il fenomeno, però, - ed è di questo che voglio parlare, - presenta una situazione del tutto nuova, rispetto al passato, che sorprende e preoccupa. Recenti indagini hanno rilevato che i genitori, in buona percentuale, cercano di nascondere ai figli adolescenti, le difficoltà in cui si dibattono per fare quadrare i conti (“Minori, mass media e crisi economica”, a cura del “Centro studi minori e media” in collaborazione con l’università di Firenze, 2009). Dalla ricerca emerge che due ragazzi su dieci sono del tutto all’oscuro delle condizioni finanziarie in cui versa la propria famiglia e che l’83% di essi continua a spendere quasi come prima. I numeri derivanti dalla crisi in atto appaiono drammaticamente impietosi: 400.000 i figli e 152.000 i genitori che hanno perso il lavoro; 294.000 i lavoratori precari che sono finiti a spasso e due milioni e duecentomila i lavoratori con un contratto a termine. In totale oltre tre milioni che rischiano il collasso.
Ma torniamo agli adolescenti. Come mai questi giovanissimi, - se sono veri i risultati dell’indagine, e nonostante i messaggi martellanti che i mezzi di comunicazione continuano a rendere noti, - fanno così fatica a cogliere la criticità congiunturale che si sta vivendo? Sarà perché cercano di non crederci, o perché la ritengono lontana dalla loro esperienza, o perché vivono intrappolati nel miraggio di falsi bisogni creati ad arte da individui più scaltri di loro? Come tutti, anch’essi sono bombardati dalle notizie sulla crisi, eppure parrebbe che non riescano a decodificarne il messaggio e a trarne le giuste conseguenze. Mi chiedo ancora se la paghetta, ormai intoccabile, ha conosciuto dei tagli, oppure se i genitori, pure quando il bilancio tende al rosso, continuano a erogare le stesse somme. Il fatto è, come ci ricorda la ricerca, che solo una minima parte dei giovanissimi ha modificato il proprio stile di vita. Per un attimo rivado alla mia adolescenza e ripenso alla facilità con cui ci si adattava a portare addosso un pantalone o un maglione ricucito o le scarpe con la pezza. Tempi lontani in cui nessuno faceva del look un principio di vita e tutti si accontentavano di poco. Oggi il contesto è cambiato. Da un universo giovanile (e non solo) sempre più ampio, l’immagine e l’avere vengono visti come elementi importanti per la propria realizzazione. Ma perché i silenzi sulle mura domestiche? Perché non dire ai figli, senza troppi giri di parole e senza moti di imbarazzante vergogna, che le cose non girano più come prima? Perché ritenere giustificati certi meccanismi protettivi per non far conoscere le difficoltà di ordine economico? “I ragazzi? – loro no, non devono sapere, non devono essere coinvolti e soffrire per i nostri disagi”. E si sbaglia. L’indagine, infatti, sostiene che i genitori che ragionano così sono veramente tanti. Magari è venuta a mancare la sicurezza del posto di lavoro o, forse, lo stipendio non è più in grado di coprire il fabbisogno familiare. Non ci si accorge che si sta perdendo un’occasione preziosa per entrare in dialogo con i propri figli e, magari, per sensibilizzarli a una responsabile condivisione. Si rischia insomma di lasciarsi sfuggire il momento educativo che la crisi propone in vista di comportamenti più conseguenti e consapevoli.
Intanto le statistiche ricordano, impietosamente, che tra giovani e adolescenti, attività ricreative e consumi continuano senza significative flessioni come se l’economia continuasse ad andare a gonfie vele. Da una parte stili di vita sempre meno sostenibili e dall’altra la drammaticità di un lavoro che tarda sempre più ad arrivare. Ma davvero è educativo, magari per non allarmare ed angosciare, tenere il silenzio su queste tematiche, anziché affrontarle al fine di un corretto coinvolgimento di tutta la famiglia? Che ne pensano i diretti interessati?

 

Don Giovannino

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