Parrocchia Santa Barbara Villacidro
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Santa Barbara Villacidro
                   
               
 
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Padre Antonio Fiorante
 

Padre Antonio Fiorante, nacque il 15 ottobre 1925. A 12 anni entrò nel Seminario missionario di Sulmona. Con il suo carattere, che sin da bambino era forte e molto sensibile, affrontò il distacco dalla famiglia, tenendo ben presente l’obiettivo di raggiungere l’Africa. Terminate con soddisfazione le medie, fu trasferito a Brescia per il ginnasio e poi a Firenze per il Noviziato. Completati gli studi liceali, il 3 giugno 1950 fu consacrato sacerdote nel Duomo di Milano, dal cardinale beato Schuster. Trascorse i successivi tre anni nei seminari comboniani dove assunse l’incarico di economo. Per sopperire alle necessità e al vitto che occorreva, percorse continuamente le due diocesi facendo la questua, ma non mancarono rifiuti e situazioni mortificanti. Finalmente nel dicembre 1953, arrivò il via per l’Africa, con destinazione Bahr al Ghazal. Terra con paludi, zanzare e malaria, ma anche con un popolo numeroso, che rispondeva generosamente alla chiamata dei missionari. Fu necessario imparare ben quattro lingue locali, così da potersi spostare agevolmente nelle varie Missioni. A gennaio del 1954, padre Antonio scriveva nella sua prima lettera ai familiari tutto l’entusiasmo per il lungo viaggio intrapreso verso la missione nel centro dell’Africa, dove fu accolto con festa specie dai bambini, ma ebbe anche modo di descrivere la vita del missionario in quelle zone di difficoltà estreme, un sole bruciante, temperatura torrida, il desiderio di bere non facile da soddisfare, la savana con le bestie feroci, però concludeva sempre assicurando che lì era veramente felice. Nel 1962 con il cambiamento della politica in Sudan, padre Fiorante fu tra i primi missionari ad essere espulso dal Paese, forse per la sua grande popolarità che aveva acquistato tra la gente. Trascorse un anno a Sulmona e a Crema, e poi, visto le sue continue richieste di tornare in Africa, i superiori lo destinarono alla diocesi di Arua in Uganda. Nel 1964 partì per Angal. L’anno dopo, fu incaricato di fondare una nuova missione a Parombo, il lavoro fu durissimo anche perché era solo. Faceva il sacerdote fino alle otto del mattino e poi fino a sera era continuamente in giro impegnato nella costruzione della chiesa parrocchiale, della casa canonica e di una decina di cappelle nei dintorni, i cui lavori erano avviati contemporaneamente. Aveva un bel rapporto col suo paese, tanto che i suoi concittadini lo sostenevano generosamente e nelle sue lettere ironizzava dicendo loro, di aver pazienza con quel compaesano, che invece di emigrare in America come tanti altri civitanovesi per fare un po’ di soldi, se n’era andato in Africa a spendere soldi che non aveva, per aiutare gente che forse un domani gli farà la pelle. Il suo zelo missionario, non si fermò davanti alle opere portate a termine e perfettamente funzionanti, come le scuole, il dispensario, la casa per i missionari e la chiesa soprattutto, che aveva permesso di abbandonare il provvisorio capannone, senza porte e finestre, pieno di lucertole, serpenti, insetti e animali. Dopo sei anni trascorsi in Uganda, ritornò per un periodo di riposo di circa sei mesi a Civitanova. A dicembre 1970, ripartì per l’Uganda ritornando a Parombo, fra la gioia dei tanti cristiani, e qui trascorse altri cinque anni d’intenso e fecondo lavoro apostolico. I missionari non restavano a lungo in questa località, dal clima così difficile per gli europei e quindi dopo un certo periodo si alternavano, per riprendersi dalle fatiche e dalla debilitazione del fisico. Padre Antonio non si spaventò e come al solito si impegnò al massimo, istituì i consigli dei laici, diede impulso alla devozione mariana, intensificò la formazione dei catechisti, organizzò l’assistenza dei poveri. Suo compagno di missione era padre Silvio Dal Maso. L’armonia e la collaborazione dei due missionari, legati da un unico ideale, anche se totalmente diversi come temperamento, diede ben presto i suoi frutti e la comunità cattolica di Pakwach diventò più fiorente e impegnata, ma nel febbraio 1979, ai confini dello Stato scoppiava la guerra con la Tanzania, cambiando totalmente le condizioni di vita, di progresso, di sicurezza del popolo e degli stessi missionari. Inizialmente, i due missionari erano tranquilli sulla loro sorte, perché il fronte degli scontri era molto lontano, ma in breve tempo la guerra civile si estese fino alla loro zona e il 3 maggio 1979, la morte assurda per mano e per la ferocia degli assassini, bussò alla loro porta. Il giorno dopo, padre Antonio Fiorante, venne trovato supino a terra con una corda legata al collo e dei fori di una pallottola che aveva trapassato la testa, con la faccia bluastra senza tracce di sangue, sulla schiena colpi di scarponi e calci di fucile, l’addome gonfio. Padre Dal Maso era seduto per terra, con la faccia rivolta verso l’alto, i piedi legati con spago. Aveva una ferita d’arma da fuoco, che attraversava il collo da un lato all’altro, aveva perso molto sangue e nella mano sinistra stringeva il rosario. Dopo la cerimonia funebre le due bare furono interrate in un’unica fossa. Non ci furono testimoni europei dell’eccidio, ma la loro morte va inserita nel clima di anarchia e odio, che si era scatenato in Uganda e che colpì persone innocenti e impegnate nella promozione umana e sociale del popolo, come i missionari.

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