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Umorismo senza volgarità: qualcuno c'è riuscito
 

Il 4 gennaio scorso ricorreva il trentennale della morte di uno scrittore che è riuscito a far sorridere senza la benché minima volgarità, senza parolacce e senza far leva su chissà quali doppi sensi. Forse il periodo in cui ha vissuto non gli avrebbe comunque permesso un linguaggio troppo colorito, ma è anche vero che, leggendo i suoi libri, non si sente sicuramente il bisogno di leggere volgarità per ridere o comunque sorridere. Trent’anni fa, dunque moriva Achille Campanile, uno dei più bravi e prolifici scrittori del Novecento, di narrativa e teatro, giornalista e critico televisivo. Non voglio recensire un suo libro, né fare una prefazione a qualche suo romanzo, anche perché a questo ci ha già pensato qualcun altro (Umberto Eco in “Se la luna mi porta fortuna” o Carlo Bo in “Manuale di conversazione” che, peraltro vinse il Premio Viareggio nel 1973). Posso però dire la mia e consigliarlo a tutti. I titoli sono tanti, tutti molto curiosi da “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima” a “Che cos’è quest’amore?”, da “Tragedie in due battute” a “Il povero Piero”, le battute sono esilaranti e graziose e il piglio arguto. Noi ora siamo tutti abituati ad una comicità diversa, a volte un po’ rozza e sembra strano sentir parlare di un’umorista che basa la sua verve su tutt’altro, storie semplici, vita quotidiana, ma il tutto condito con scene un po’ surreali ed equivoci verbali. Sulla stessa linea di Campanile si colloca un altro umorista, peraltro suo contemporaneo, si tratta di Marcello Marchesi, autore di moltissimi slogan del “Carosello”. Scrisse testi per attori importanti come Walter Chiari e lavorò anche con Totò. Qualcuno lo definirà umorismo “d’altri tempi”, effettivamente è così, ma la differenza è data anche dal fatto che sono umoristi, non comici, questi ultimi devono forzare la battuta, estremizzare le situazioni, utilizzare un linguaggio colorito; l’umorista no. La differenza tra comicità e umorismo è stata in passato spiegata da molti, uno di questi è Luigi Pirandello. Egli spiega che il comico fa ridere perché mostra un “avvertimento del contrario”, cioè vediamo una situazione che è l’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere e ci viene da ridere, l’umorista invece fa riflettere sul “sentimento del contrario”, che ci fa sorridere, ma ci porta quasi ad avere compassione delle persone di cui ci si prende gioco.

 

Francesca Ortu

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