Parrocchia Santa Barbara Villacidro
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Santa Barbara Villacidro
                   
               
 
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La vita oltre la sofferenza
 

Mutano i tempi, le culture e le generazioni, ma la sofferenza resta sempre di drammatica attualità. E’ la considerazione più immediata che mi viene in mente, mentre rifletto su alcune situazioni di opprimente sofferenza che si sono abbattute su alcune famiglie della nostra comunità parrocchiale. A queste, poi, so di dovere aggiungere le altre di cui sono a conoscenza e quelle, ancora più numerose, che invece restano nascoste dentro le mura domestiche o nell’intimo del cuore. Sappiamo bene che la sofferenza non si presenta mai identica. Essa ha mille sfaccettature, tutte dolorose. Si soffre, dunque, per un numero indefinibile di cause, sempre imprevedibili. E quando essa si abbatte, la voglia di pensare al futuro, di progettare la vita e di fare programmi, di colpo, si interrompe, lasciando singoli e famiglie nella totale impotenza e nella sensazione che si sia spenta perfino la speranza. La sofferenza viene vista come il prezzo previo da pagare perchè si vive. A poco serve ribellarsi e imprecare. Essa resta ineliminabile. Domande quali: “Cosa ho fatto di male perché mi debba capitare?” sono inesorabilmente destinate a restare senza risposta. La sofferenza, presto o tardi, si fa compagna di viaggio di tutti. E quando essa si presenta si vorrebbe comprenderne il motivo e il fine. La nostra intelligenza, però, resta muta nell’assoluta incapacità di comprenderla. Allora ci si ribella di fronte all’assordante silenzio che schiaccia il cuore e, magari, si impreca contro Dio che ha permesso che una simile croce si abbattesse su un innocente. Così la sofferenza diventa insopportabile, non lascia intravedere vie d’uscita e viene meno anche la voglia di lottare e di reagire. E tutto questo mentre viviamo in una società che, con supponenza, crede ormai di essere in grado, - grazie al progresso raggiunto, - di dare risposte risolutive a ogni problema. In realtà, è vero il contrario. Mai la sofferenza ha trovato gli individui tanto fragili ed impreparati ad affrontarla come oggi. Tanti si rifiutano di accettarla, appunto perché senza senso e continuano a vivere chiusi a riccio dentro il loro dramma, senza credere nella possibilità di altre opportunità di impegno. Ci si ostina a stare soli, tutti i giorni intenti a rimuginare il proprio dramma e questo inevitabilmente finisce per aggravare ancora di più la penosità del proprio stato.
Appare invece opportuno ricordare che la sofferenza resta in definitiva un mistero di fronte al quale la nostra intelligenza è chiamata a tacere dal momento che nulla può dire. L’unica in grado di stemperarla e fronteggiarla è la virtù della fortezza. Ma come ottenerla quando il peso della croce si fa insopportabile? Come restituire il desiderio di vivere a chi non riesce a liberarsi dall’oppressione? Mi viene da pensare al ruolo che in questi casi possono svolgere gli amici, i familiari e quanti sanno essere sensibili al dolore altrui. E’ chiaro che se la sofferenza può essere alleviata, il dovere di lenirla diventa un imperativo fondamentale per quanti possono intervenire. Lasciare solo chi è nel dolore, privandolo della propria solidale amicizia è atto di enorme gravità morale. Alla sofferenza va contrapposta la forza della vita. La prima, infatti, si colloca sulla dimensione della morte. Se ormai niente più ha valore e significato tanto vale auspicare la morte come la soluzione più immediata e risolutiva. La seconda, invece, - e cioè la forza di vivere – è più difficile da fare propria, perché esige determinazione e straordinario sforzo di volontà, ma è l’unica in grado di far scorgere la luce al di là del dolore. La scelta della morte è una porta che si chiude, quella della vita, invece, è sempre una porta che si apre a nuovi rapporti di relazione e alla ricerca di uno scopo per cui impegnarsi. Credere che la soluzione più facile sia anche la migliore, è una grande falsità. Tutti siamo fragili e soggetti a tristezze e a delusioni, destinati ad incontrare croci e sofferenze schiaccianti. Ecco perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ognuno col proprio fardello di pene è chiamato non a isolarsi in una solitudine senza fine che non conduce da nessuna parte, ma a farsi prossimo di chi gli cammina accanto, pure lui appesantito da dolori e prove più o meno manifeste. Dare speranza a sé e agli altri non con atteggiamenti da eroe, ma con la propria disarmante normalità. Questa è la carità cristiana e l’impegno che ci lascia il vangelo di Gesù.

 

Don Giovannino

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