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Emergenza povertà
 

Da almeno un mese, tutti i mezzi di comunicazione – radio, tivù e giornali – stanno facendo a gara nel segnalare la grave emergenza economica che sta attanagliando milioni di famiglie in Italia. Tabelle e percentuali di comparazione con il passato illustrano con precisione la portata del fenomeno, esploso all’indomani del consistente aumento dei prezzi di prima necessità e del carburante, facendo così schizzare verso l’alto l’andamento dell’inflazione. Con esemplificazioni concrete ci si sforza di rendere noto ciò che una fetta significativa di popolazione, purtroppo, sta sperimentando già da tempo nel quotidiano, e cioè che con gli attuali stipendi è impossibile riuscire a quadrare i bilanci e sostenere i costi sempre più proibitivi anche solo dei beni più essenziali. Molti salari e pensioni, ormai, non sono più in grado di garantire nemmeno il soddisfacimento delle esigenze primarie. A gennaio, ricorda l’ISTAT, l’indice generale dei prezzi è salito al 2,9%, il massimo da sei anni e mezzo a questa parte. Ma il costo della vita reale è ancora più alto, 4,8%, quasi il doppio dell’inflazione ufficiale. L’Eurispes, addirittura calcola un aumento dell’8% e un’economia quasi ferma. Tutto risulta vistosamente più caro: pasta, pane, latte, frutta, gas, elettricità, benzina e tanto altro ancora. Le associazioni dei consumatori vanno oltre affermando che il 4,8% dichiarato è ancora sottostimato, il che significa che i rincari effettivi vanno al di là delle proiezioni rese pubbliche. Chi si sforza, giorno per giorno, di vivere accanto agli altri con attenzione, cercando di essere sensibile alle molteplici forme di disagio presenti nella società, non può non avvertire che a monte di queste situazioni esistono cause strutturali di cui tutti sono a conoscenza e che tuttavia non vengono rimosse per mancanza di coerenza e di coraggio. Si tratta di un problema etico che continua a rimanere insoluto e che offende la giustizia. Come tollerare infatti gli sprechi nell’amministrazione pubblica, gli scandalosi costi della politica, gli stratosferici stipendi delle categorie privilegiate e la negligenza nell’intervenire a tagliare i privilegi delle categorie di potere? (Che penseranno i Magistrati quando nelle aule in cui amministrano la giustizia in nome del popolo sovrano leggono la massima: “La legge è uguale per tutti”, sapendo che tra loro e tantissimi altri italiani vige una vergognosa disparità di trattamento?)
Resta evidente che dinanzi a un fatto così grave la ricerca di soluzioni per arginarla non è più rinviabile. Occorre attivare un controllo serio sui prezzi, sulle tariffe e sulle decine di balzelli che erodono sistematicamente il già scarso potere d’acquisto degli stipendi. L’inflazione programmata per il 2008, infatti, era dell’1,7%, ipotesi che ormai non sta in piedi nemmeno coi puntelli. Quello che sconcerta è il fatto che non si sia tempestivamente dato peso all’inflazione reale che da anni andava dimagrendo i salari medio bassi. Possibile, ci si chiede, che non ci si fosse accorti? E così la corsa dei prezzi di carburanti, alimentari e affitti ha finito per dissanguare milioni di italiani. Il fenomeno, per la verità, non riguarda solo l’Italia. Un documento dell’Unione Europea fa sapere che sono 78 milioni i cittadini in difficoltà al suo interno. Per quanto riguarda il nostro Paese va anche detto che gli organismi demandati a tutelare il potere d’acquisto dei salari, purtroppo, si sono limitati a sterili denunce che non hanno rimosso il problema. La rilevazione degli ultimi dati fa fare una figuraccia a tutti, compresi i sindacati che, per fortuna, sembrano essersi finalmente determinati ad una più decisa azione a livello di azione contrattuale. Sempre il recentissimo rapporto dell’UE ci ricorda che in Italia un bambino su quattro è a rischio povertà, dato questo che ci fa precipitare in fondo alla classifica dei principali Paesi europei. E a causare questa situazione è anche l’insufficiente sostegno offerto alle famiglie. Genitori disoccupati o con salari assolutamente insufficienti a gestire il normale fabbisogno e per di più penalizzati dagli assegni familiari molto miseri. A rendere ancora più preoccupante il quadro sono le prospettive che si affacciano all’orizzonte, dal momento che il rischio povertà negli ultimi cinque-sei anni non è diminuito, anzi sembra essersi incrementato. La debolezza dei redditi, infatti, altro non significa che stagnazione nelle vendite, minore produttività ed economia in frenata.

 

Don Giovannino

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