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Fede e ragione: è possibile intendersi?
 

Il binomio “intelligente e cattolico” – secondo certa cultura – non è possibile, in quanto l’uno (l’intelligenza) escluderebbe l’altro (la fede). Non lo si dice apertamente, ma lo si lascia intendere, almeno dall’illuminismo in poi. Dunque, se una persona è intelligente non può essere contemporaneamente anche credente (e per quel che ci riguarda, “cristiana”). Secondo questo ragionamento, infatti, chi crede o è tale perché limitato nelle sue facoltà intellettuali, oppure perché ha rinunciato alla ragione per rifugiarsi nella fede. I mali che affliggono l’umanità verrebbero causati in gran parte dai fondamentalismi presenti nelle varie religioni e dalle chiusure delle fedi religiose, compresa quella cristiana. Di conseguenza, le guerre, le violenze e le ingiustizie causate da una non corretta distribuzione delle risorse (leggi: fame, malattie, discriminazioni e analfabetismo) si fonderebbero principalmente nella cecità delle religioni che impediscono il progresso e il pieno utilizzo della ragione in tutte le sue potenzialità. Che talvolta, tra le varie concause, possa esserci una distorta visione religiosa, può anche accettarsi, il resto invece è pura illazione dovuta al pregiudizio e alla malafede, da respingersi proprio in nome della ragione. La persona “intelligente”, infatti, sa molto bene che a danneggiare società e individui sono prima di tutto i sistemi di pensiero che al confronto, al dialogo e all’ascolto delle altrui ragioni, contrappongono l’assolutismo delle proprie idee, propugnate come l’unica verità possibile. Scendendo più nel concreto, sarebbe come volere affermare che tutto ciò che non va in Italia è colpa dei valori religiosi o, più superficialmente, dei cristiani che rinunciano a uniformare la loro esistenza unicamente sulla ragione. Ad esempio, chi crederebbe che in Italia, l’aumento della criminalità o piaghe quali l’alcol, la droga e la violenza sono da attribuirsi alla fede cristiana? La sfiducia nelle istituzioni, la povertà in crescita quasi esponenziale, la cronica carenza di lavoro, l’occupazione precaria, l’egoismo dilagante, all’ingerenza della gerarchia ecclesiastica nelle politiche sociali del Paese? L’inquinamento imperante, la distruzione in atto dell’ecosistema, le crisi legate allo smaltimento dei rifiuti (non solo in Campania) e, ancora, la malasanità, la triste piaga degli aborti, la perdita di speranza che sembra appiattire in un presente senza prospettive intere generazioni, ai princìpi del cristianesimo? Potrei continuare, ma credo che queste esemplificazioni siano sufficienti per concludere che è proprio la ragione ad esigere, come assolutamente improponibile, l’annullamento dell’equiparazione da cui siamo partiti.
Il conflitto si ripresenta ogniqualvolta si parla di Gesù crocifisso e risorto come speranza e salvezza dell’uomo. Finché ci si ferma al tema della croce, l’auditel può anche risultare elevato, perché la croce è strumento inventato dagli uomini e di croci è disseminato il mondo, la storia e la vita di tutti. Ma quando si passa a parlare di risurrezione, allora il consenso si abbassa notevolmente dal momento che si tratta di evento che sfugge e che supera la ragione e che può essere opera soltanto di Dio. E si arriva a credere in Cristo risorto non per un ragionamento dell’intelletto, ma soltanto grazie alla fede. La fede si pone in una dimensione diversa rispetto alla ragione, ma questo non significa che tra loro ci sia conflitto o opposizione. Infatti, soltanto nella dimensione della fede ci è dato sperare. L’esistenza, nell’orizzonte della ragione, cosa può sperare quando è posta dinnanzi alla sofferenza o alla morte? La ragione, coerentemente, dovrebbe spingerci a reprimere i bisogni di speranza che, nonostante tutto, continuiamo ad avvertire presenti nel profondo di noi stessi visto che vanno al di là delle sue capacità di indagine. Dentro questa logica, dovremmo concludere che l’odio, la violenza e il dolore sono l’ultima risposta della vita. Il cristiano invece, - e non per questo rifugge le potenzialità dell’intelletto, - accoglie il Cristo crocifisso e risorto come colui che ha vinto la morte e si apre al Dio della vita e dell’amore, consentendo alla speranza che si porta dentro di superare il dubbio e di colorare di prospettive di salvezza il proprio futuro. Tutto questo, per chi non crede, è forse stoltezza e follia, ma per chi accoglie la fede si tratta di aggiungere valore e dignità alla grandezza della persona, e quindi anche alla sua ragione, chiamata a tacere e ad accogliere il Mistero che la sovrasta.

 

Don Giovannino

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