L'origine della famiglia Aymerich è gota.
I documenti antichi riportano il nome sotto diverse grafie: Aimeric, Aimaric, Eimerric e Aymerich, facendo supporre che la denominazione della casata derivi dal termine germanico “Amerigo” composto dall’unione di due parole: Alma (valente) e Rica (potente).
L’ipotesi più accreditata, dalla storiografia passata e recente, è quella della loro stabilizzazione in Spagna per mezzo delle invasioni barbariche.
Le attestazioni più antiche della loro esistenza risalgono agli annali spagnoli del XII secolo. Il primo esponente ad essere citato nei documenti è stato Guglielmo Aymerich, infatti, lo troviamo menzionato tra i personaggi più valorosi che, durante l’assedio di Lerida, nel 1140, si distinse per valore durante l’assedio, mentre il primo Aymerich, storicamente accertato in Sardegna, fu Martino.
Nel 1463 il patrono Bacalar firmava una lettera di cambio a favore del figlio di Martino, Pietro, e un’altra fonte ci documenta, nel 1486, l’acquisto da parte di quest’ultimo, contratto con Donna Antonia di Alagon, della villa di Mara, oggi Villamar. Pietro Aymerich fu anche consigliere capo della città, e ciò attesta - essendo gli ecclesiastici, i feudatari e i nobili esclusi dal reggimento della città - che la famiglia non godeva ancora di privilegi nobiliari. Salvatore I, figlio di Pietro, nel 1494 fondava un beneficio sotto l’invocazione della Beata Vergine della Speranza, erigendo, nei pressi della Cattedrale di Cagliari, la chiesetta dedicata alla Santa.
Salvatore II, successore di Salvatore I, invece, si distinse per aver guidato la rivolta contro il viceré Cardona e due esponenti della casata degli Asquer, tanto che Carlo V in persona, nel 1535 - per premiare anche il suo valoroso comportamento nella battaglia di Tunisi - concesse, a lui e a tutti i suoi futuri discendenti, l’effigie dell’aquila imperiale nello stemma di famiglia.
Melchiorre invece, figlio del valoroso combattente ed erede di prestigiosi titoli, non viene menzionato dalle fonti storiche per nessun rilevante episodio.
Don Ignazio, terzogenito di Melchiorre, nel 1628 ottenne l’elevazione del feudo di Villamar a contea, Iniziando la serie dei “Conti di Villamar”.
Succedettero Salvatore III , Ignazio II e Silvestro, uno dei personaggi più noti e studiati dagli storici sardi. Uomo immerso nella vita politica isolana del XVII secolo, e diventato celebre per l’accusa di due prestigiosi delitti, fu uno dei maggiori protagonisti della Sardegna dell’epoca.
Il 20 giugno 1668 moriva, ucciso in un agguato, Don Agostino Castelvì. I sospetti per l’assassinio ricaddero su Silvestro Aymerich e la moglie del defunto, Francesca Zatrillas, convolata a nozze, poco tempo dopo la morte del marito, con il suo complice.
Nel luglio del 1668 si compiva un altro delitto: l’uccisione del viceré Camarassa. I dominatori spagnoli diedero al gesto il significato di un esplicito atto di ribellione nei loro confronti, ricollegandolo alle numerose proteste degli isolani per l’assegnazione delle più alte cariche politiche ed amministrative, a personaggi di origine sarda e non iberica. Il Duca di San Germano, proveniente da Madrid, assunta la carica di nuovo viceré, diede una decisiva svolta alle indagini. Il primo intento del nuovo funzionario fu di far percepire, agli isolani, la dura politica di repressione nei confronti di chiunque avesse tentato di ostacolare la politica dei dominatori. Io spunto, per cominciare la sua azione d’investigazione, lo ebbe dalla sospetta unione matrimoniale di Donna Francesca Zatrillas e suo cugino, Silvestro Aymerich. Il viceré, disposto l’annullamento dei precedenti atti istruttori, procedette con il suo piano, pubblicando un bando d’amnistia in favore di quanti, nel giro di due mesi, fossero rientrati nella legalità e avessero riferito circostanze relative ai due omicidi. Le istruttorie ebbero inizio nell’aprile del 1669, e risultarono non poche le ritrattazioni da parte dei testimoni. Il 5 luglio dello stesso anno furono emesse le sentenze di morte per Donna Francesca Zatrillas, Don Silvestro Aymerich, Don Giacomo di Castelvì Marchese di Cea, Don Francesco Cao, Don Francesco Portugues e Don Gavino Grixoni. Parte dei condannati, compresi i novelli sposi, ospiti dei Savoia, si rifugiarono a Nizza. L’idea di vendetta del Duca di San Germano, accordatosi con Don Giacomo Alivesi, nobile ricercato per diversi reati, non si placò. L’Alivesi, spinto dall’ingente somma di danaro promessagli dagli spagnoli, si recò a Nizza, fingendosi ancora ricercato e bisognoso d’aiuto, per conquistare la fiducia dei fuggiaschi e indurli a partecipare ad un nuovo piano di ribellione contro il viceré di Sardegna, rivelatosi poi un tranello. La proposta, vista come una presa di posizione, capace di indurre il re Carlo II a concedere un' autonomia di governo all’isola, venne accolta al volo. L’Alivesi, L’Aymerich, il Cao e il Cea, desiderosi di portare a termine il progetto politico, raggiunti dal Portugues, sbarcarono in Corsica per preparare l’attacco in Sardegna, ma, la notte, il collaboratore del Duca di San Germano, gli assali nel sonno facendoli trucidare. Il viceré, previdente, prima del loro sbarco, fece arrestare, con diversi pretesti, quanti riteneva avessero potuto appoggiare l’azione rivoluzionaria. Un corteo, manifestazione di grandezza dei dominatori, sfilò mostrando le teste mozzate degli infedeli, da Alghero a Cagliari. Il Duca di San Germano, non ancora soddisfatto, una settimana dopo l’arrivo a Cagliari, diede un ulteriore prova di ferocia ordinando l’esposizione delle quattro teste all’interno di una gabbia esposta sulla Torre dell’Elefante e lasciata, a memoria dell’episodio, per diciassette anni. Un’iscrizione su lapide, a ricordo di tale brutale evento, venne murata in via Canelles, dove, ancora oggi, è leggibile.
Gabriele, frutto del matrimonio con la Zatrillas, divenne l’erede di Silvestro Aymerich, ma non seguì le orme politiche lasciate dal padre e dalla madre.
L’albero genealogico prosegue con Don Antonio Giuseppe, il quale si unì in matrimonio con Donna Maria Tomasa Brancifort Genovès dei principi di Buttera. Dalla loro unione nacquero 8 figli, tra cui don Michele, vescovo di Ales negli anni 1788-1806.
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