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"Dio è Amore" - la prima enciclica di Papa Benedetto XVI
       

Lo scorso 25 gennaio. a nove mesi dalla sua elezione, è stata pubblicata la prima lettera enciclica di papa Benedetto XVI. Il testo però porta la data del 25 dicembre, come a sottolineare che il Natale è la solennità che celebra la nascita dell’Amore di Dio (Gesù) tra gli uomini. 72 Pagine, suddivise in 42 paragrafi, per ricordare a tutti che la fede cristiana non si fonda sulle leggi o sui divieti, ma sulla carità. Dio è amore e di conseguenza anche l’uomo credente deve innanzitutto situare la propria vita in una dimensione di misericordia, perdono e dialogo (“Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”. Lc 6,36). L’amore ci proietta dentro i più profondi e autentici sentimenti paterni e materni di Dio, ne esprime la costante ed intensa benevolenza e sta a fondamento del piano provvidente di salvezza che si attua attraverso il sacrificio del Cristo crocifisso e risorto, speranza del mondo. In Gesù è la Trinità stessa che si fa a noi vicina per accoglierci e redimerci. L’amore di Dio è eterno, infinito, libero e universale. Di riflesso anche il credente, prima di qualsiasi altra cosa, è chiamato ad amare tutti, anche i nemici.
Il Papa con la sua enciclica, ha voluto ricordare l’aspetto essenziale della rivelazione cristiana. In un mondo in cui il nome di Dio viene spesso e con disinvoltura associato al dovere della vendetta, dell’odio e dell’annientamento, il richiamo di Benedetto XVI appare provvidenziale e sommamente opportuno. Il documento, però, non si limita soltanto ad enunciare i fondamenti della fede cattolica, ma riflette anche sul valore dell’amore umano che si specifica nell’eros. Al riguardo il Papa ricorda che l’uomo diventa veramente se stesso quando corpo e anima si ritrovano in intima unità. Dunque, l’uomo non è né solo spirito, né solo corpo e dimostra di essere capace di vivere pienamente la sua esistenza quanto più riesce ad armonizzare sessualità e carità.
Questa breve presentazione vorrebbe incoraggiare tanti a prenderla in mano e a leggerla. Chi pertanto avesse interesse ad acquistarla, sappia che la può trovare in parrocchia al costo di € 1,50. Il testo poi è consultabile anche via internet sul sito del Vaticano (www.vatican.va).

 
Gippì
   

   
Accanto agli ultimi del mondo: i lebbrosi
   
Oggi 29 gennaio in 150 paesi si celebra la 53° giornata mondiale dei malati di lebbra. Questa ricorrenza, che risale al 1954, con tutta la sua positività si deve allo spirito evangelico che ha guidato la vita di Raul Follereau il quale definiva i lebbrosi i più dimenticati del mondo, e che più devastante della malattia stessa sono le altre “lebbre”: la povertà, l’egoismo, le ingiustizie e l’indifferenza. La chiesa oggi devolve le offerte dei fedeli per la cura della lebbra considerata la più antica e attiva malattia del mondo. Fin da bambini, ascoltando il vangelo, abbiamo appreso quanto fosse terribile questo morbo che porta il nome di Hansen, il medico norvegese che isolò il bacillo della lebbra. Ancora il vangelo ci dice che Gesù guariva molti lebbrosi che chiedevano di “essere mondati”. Sul suo esempio anche San Francesco ebbe pietà di un lebbroso, senza alcuna repulsione, lo abbraccio e lo guarì. In quel tempo e per tanti secoli ancora i lebbrosi furono considerati maledetti da Dio, temuti e isolati vista la contagiosità e il disfacimento del corpo che ne rendeva orribile l’aspetto. Il bacillo di Hansen è trasmesso più frequentemente per contatto diretto; moltiplicandosi nei punti in cui si è fissato dà luogo ad improvvisa febbre, chiazze rosse e noduli ulcerosi che deturpano il viso con l’erosione del naso, delle orecchie e della bocca, coinvolgendo gli arti e lasciando menomati anche chi guarisce. I tessuti colpiti diventano insensibili, e il male si propaga attaccando le terminazioni nervose e sensitive. La morte avviene per setticemia e per altre malattie degli organi interni. In passato la lebbra, frutto di povertà e carenza di igiene, era mortale; ora, in circa due anni, grazie a farmaci, acqua e alimentazione giusta si può guarire. In Europa la malattia venne debellata in gran parte nei primi anni del novecento. In Sardegna i lebbrosi venivano isolati nel lazzaretto dell’ospedale Santissima Trinità. In Africa e in Asia non si può accedere a strutture sanitarie nazionali e ai farmaci gratuiti, pertanto il problema rimane del tutto insoluto. Ogni giorno si registrano 1500 nuovi casi di lebbra, in totale sono coinvolti oltre dieci milioni di individui. Se in passato i lebbrosi vivevano isolati negli anfratti delle colline, condannati a morire anche di stenti, ora la situazione è certo migliorata. Grazie a Dio oggi i missionari non sono più soli nel sostegno a questi malati, gli ultimi nella scala sociale, ma molte associazioni e organizzazioni umanitarie si sono attivate sensibilizzando dapprima le autorità locali e l’opinione pubblica del mondo occidentale. Ospedali, scuole, centri riabilitativi vengono in soccorso ai malati e alle loro famiglie. Missionari, laici, suore, medici operano in varie parti del mondo con estrema dedizione; sono i “santi” di questi tempi, tempi che hanno segnato in negativo le vicende umane, ma il bene è anche tanto e tutti siamo chiamati a collaborare in questo “Bene”. Noi sardi siamo da tempo coinvolti e sensibili a questi problemi e se vogliamo possiamo impegnarci anche di più. Oggi tanti giovani sono alla ricerca di equilibrio mentale e tranquillità, inseguono scopi e ideali a cui dedicare le proprie capacità e le proprie risorse intellettuali, gli slanci generosi del loro cuore, dedicando anche solo un periodo della vita agli ultimi e ai dimenticati.
Si potrebbero sentire realizzati e gratificati, perché è “dando che si riceve”.
   
Mariolina Lussu  
   
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