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Venerabile Benedetta Bianchi Porro    
       
Benedetta nasce in provincia di Forlì, a Dovadola, l’8 agosto del 1936. La madre le conferisce il battesimo con l’acqua di Lourdes perché alla piccola sopraggiunge una emorragia. A tre mesi viene colpita dalla poliomelite che lasciandole una gamba più corta, la costringe all’uso di una pesante scarpa ortopedica. Per questo viene schernita dagli altri bambini che la chiamano “la zoppetta”, ma lei non si offende. Nel maggio del 1944, nella chiesa del suo paese fece la Prima Comunione. In questa occasione le regalarono un rosario che tenne sempre molto caro e dal quale non si separò mai. Un giorno da studentessa universitaria le capitò di perderlo, ne soffrì tanto, ma
fortunosamente poi lo ritrovò e la sua gioia fu incontenibile, nessun oggetto era per lei più importante del suo rosario. Il padre, ingegnere termale, nel 1951 si trasferì con la famiglia a Sirmione, sul lago di Garda, e Benedetta frequentò a Desenzano il liceo classico. Un giorno al rientro da scuola, dopo essere stata interrogata in latino, annota nel suo diario le difficoltà nel comprendere quanto il professore le domandava, ma non se ne preoccupò e disse a se stessa: “Un giorno sicuramente non capirò più niente di quello che gli altri dicono, ma sentirò sempre la voce della mia anima che sarà l’unica guida che dovrò seguire”. Da tempo era costretta ad usare un busto ortopedico per evitare la deformazione della schiena e cominciavano a farsi avanti anche i primi segni della sordità, ma lei non se ne preoccupava. Riteneva la vita meravigliosa pur nella sua condizione. Nell’ottobre del 1953 si trasferisce a Milano per frequentare l’Università, sceglie Fisica per accontentare suo padre, ma presto cambia in Medicina convinta che la sua vocazione fosse quella di dedicarsi agli altri come medico. L’esperienza negativa col docente titolare della cattedra di anatomia, che la offese dicendole “non si è mai visto un medico sordo”, non la scoraggiò.
Benedetta che era molto brava negli studi, proseguì. Tuttavia la malattia avanzava inesorabilmente, dovette persino subire una serie di interventi chirurgici che misero a dura prova la sua solidità interiore. Un morbo rarissimo e incurabile la costrinse definitivamente immobile a letto. Giunsero per lei giorni molto difficili di aridità, buio e lotta con se stessa. Il dolore fisico era la costante di ogni sua giornata. Nel 1962, così come fortemente aveva sempre desiderato, si recò a Lourdes col treno bianco. Fece il voto di farsi suora se fosse guarita. Due volte si recò a Lourdes ed il miracolo che ottenne dalla Madonna, verso la quale nutriva una forte devozione, non fu la guarigione, bensì rientrò con una forza nuova e capace di affrontare la sua malattia con dolcezza, pazienza e serenità. Nel portare la sua croce trovò sostegno nella Madre di Gesù che divenne per lei un forte punto di riferimento. La fede le fece vivere il suo stato come una autentica ricchezza. Era un modello per chiunque, ricevette lettere e visite da più
parti della penisola. Lei rispondeva sempre a tutti e quando cominciò a non poterlo più fare da sola per l’aggravarsi sempre più del suo stato, si fece aiutare da sua madre comunicando con lei esclusivamente con dei segni che faceva con la mano desta, unica parte del suo corpo che riusciva ancora a muovere. I suoi pensieri, riflettono una fede conquistata ed autentica e la continua presenza di Dio nella sua vita interiore ricca e profonda che continuò ad affascinare tutti. Quei testi, dati poi alla stampa, colpirono per il loro messaggio di grande spiritualità sia il mondo religioso che quello laico di ogni estrazione sociale.
La mattina del 23 gennaio 1964, memoria dello sposalizio della Vergine Maria, fiorisce, fuori stagione, una rosa bianca nel suo giardino. Quando lo seppe, fu per lei un segno. Raccontò di aver sognato una tomba aperta con dentro una rosa bianca che emanava una luce abbagliante. Quello stesso giorno morì.
La Chiesa l’ha dichiarata venerabile con Decreto del 1993.
     
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